61 la camelia nella cultura giapponese e nell’ikebana

 

 

 

 

 

Lo svedese Karl von Linne (1707-1778) -più conosciuto col suo nome latinizzato di Linneo-, è l’autore della classificazione sacientifica degli esseri viventi che usiamo ancora oggi: quando dovette trovare un nome scientifico per il genere CAMELLIA, lo scelse in onore di Joseph Kamel (1661-1706, gesuita, botanico e farmacista ceco) usando il suo nome latinizzato CAMELLUS ; Kamel probabilmente non vide mai una camelia poiché attivo nelle Filippine e non in Giappone o Cina ove questa specie è autoctona.

 

Le due specie più usate in ikebana sono la Camellia japonica e la Camellia sasanqua mentre la Camellia sinensis è usata per la produzione del Tè.

 

La Camellia japonica si chiama in giapponese tsubaki, lettura kun (vedi art. 50° lingua giapponese) del kanji composto da albero e primavera, caratterizzata dal fatto che il fiore non cade petalo per petalo ma si stacca improvvisamente e casca intero; fiorisce in primavera.

 

 

La sua lettura on è chin, lettura che ritroviamo nella parola chinji, parola composta da due kanji significanti camelia e cosa che avviene ossia cosa che avviene come nella camelia cioè qualcosa che si verifica d’improvviso, inaspettato ossia un incidente bizzarro.

 
La Camellia sasanqua in giapponese si chiama sazanka: fiorisce in inverno e i suoi petali cadonono uno per uno, come nella maggior parte dei fiori. Questo nome è composto da tre kanji che, nella lettura ON/KUN, si leggono san/yama (montagna), sa o cha (tè) e ka/hana (“fiore”): questi tre kanji ci rammentano che il Tè si faceva sia con le foglie della Camellia japonica che con quelle della sasanqua, anche se il suo contenuto di caffeina è minore ed era meno apprezzato del Tè della Camellia sinensis.

 

 

 

Riguardo al colore, nella tradizione giapponese prima del periodo Edo, la camelia rossa, autoctona del Giappone e quindi abbondante, era ritenuta “popolare” in contrapposizione a quella di colore bianco, rara, ritenuta “nobile” poiché offerta, secondo la leggenda, per la prima volta all’imperatore Tenmu (631-686), 40° Tenno del Giappone.

 

esempi di paraventi con solo camelia bianca:

 

“pino e camelie” di Yusho Kaiho, inizio 1600

paravento di Sakai Hōitsu (1776-1828)

 

 

 

Nei periodi Nara ed Heian la camelia non è un soggetto favorito nell’arte o nella letteratura e ad essa venivano preferiti altri vegetali come i rami di MATSU (pino) rami fioriti di UME (susini giapponese), del TACHIBANA (mandarancio), di SAKURA (ciliegio).

Nell’articolo n° 59 si  parla della stagionalizzazione della natura che ha selezionato le scelte dei vegetali nelle arti e nell’ikebana. Questa stagionalizzazione è partita dalla poesia: la camelia è citata solo in 9 poemi su 4516 nel MAN.YŌ-SHŪ mentre non appare mai  nei 1111 poemi del KOKIN WAKA SHU. Per questa ragione anche nelle prime forme di ikebana, Tatebana e Rikka, essa veniva poco usata, tenendo conto anche della sua fragilità  (evidenziata già  in una delle 9 poesie nel MAN.YŌ-SHŪ, di autore ignoto)

 

 

 

Nei periodi Kamakura-Muromachi-unificazione (1185-1600) i samurai avevano come principale riferimento la culturale dell’aristocrazia imperiale (a cui vi aggiunsero del proprio come la Cerimonia del Tè e l’ikebana) perciò i vegetali preferiti rimasero quelli preferiti dalla Corte imperiale ossia principalmente i rami fioriti e i sempreverde.

 

 

 

La camelia japonica, già  non prediletta nei periodi Nara e Heian, fu ancora meno apprezzata dai samurai in questi periodi di continue battaglie causa la peculiarità  del suo fiore di staccarsi improvvisamente e cadere intero a terra, chiaro richiamo per i samurai di alto grado al rischio di venir uccisi in guerra ed esser poi decapitati, comune consuetudine per contare quanti nemici erano stati uccisi (la testa veniva mostrata come prova concreta dell’avvenuta vittoria).

 

 

Già  nel testo più antico specifico sull’ikebana, il Sendeshō, datato 1445, si specifica:

Non usare i fiori di camelia e di rododendro, poiché ambedue si staccano facilmente, l’acero, le cui foglie appassiscono e si accartocciano in poche ore, ed altri vegetali con lo stesso comportamento “infausto”.

Per i motivi spiegati, nell’ikebana la camelia fu poco usata prima del 1600, inizio del periodo Edo.

Tre esempi di Rikka in cui la camelia è usata con molta parsimonia e solo alla base della composizione.

 

 

Poco considerato nei periodi precedenti, il periodo Edo (1600-1868) fu il “periodo d’oro” di questo fiore: i primi tre shogun Tokugawa, che governarono il Giappone dal 1600 al 1651, lo amavano moltissimo e ne conseguì, per imitazione, che sia i vari daimyō (obbligati dal sankinkotai -soggiorno obbligatorio- ad avere una residenza ad Edo) sia la crescente classe dei ricchi cittadini commercianti/artigiani cominciassero a coltivare varie specie di camelie nei loro giardini privati e la camelia divenne molto popolare: di conseguenza fu usata anche nell’ikebana nei suoi nuovi stili shōka/seika apparsi in quel periodo storico.

 

 

Si iniziò ad usare la camelia solo come kyaku (terzo elemento scuola Ohara)

per poi usarla anche come elemento principale

 

 

La popolarità  della camelia anche fra i samurai è confermata dal fatto che essa appare  quale decorazione negli tsuba (proteggi-mano della spada) o negli elmi da parata: ora che non c’erano più guerre e non si rischiava di perdere la testa in battaglia, anche gli appartenenti alla casta dei guerrieri (diventati prevalentemente dei burocrati) sfoggiavano anche la camelia quale ornamento nelle armature usate durante le parate militari, non più ritenuto simbolo  infausto.

 

 

esempio di tsuba (proteggi mano)

 

 

 

 

 

Anche i ricchi commercianti/artigiani, non potendo per legge ostentare la loro ricchezza negli abiti, pagavano profumatamente gli artisti che producevano stupendi netsuke, non sottoposti ad alcuna legge restrittiva, come questi due raffiguranti la camelia bianca.

 

 

 

 

 

 

 

 

Nel periodo Edo le foglie di camelia venivano anche utilizzate come surrogato del costoso tabacco, introdotto dai portoghesi; le foglie venivano tranciate sottilissime e usate nelle pipe o, intere, arrotolate come una sigaretta.

 

 

 

Sempre nel periodo Edo l’uso della pipa era una moda delle cortigiane di alto livello, come si vede nel disegno a sinistra, in cui una cortigiana accende la sua pipa dall’altra o quello a destra, in cui una cortigiana pulisce la sua pipa con della carta.

 

 

La camelia rossa, ora molto popolare, appare frequentemente con la bianca nei disegni dei paraventi, ventagli, kakemono, vasellame ed è disegnata da sola o, seguendo la tradizione, associata a piante da fiore, al pino, al salice, associazioni che si ritrovano nell’ikebana tradizionale.

 

Sakai Hōitsu (1776-1828)

camelia dai 5-7 colori, Gyoshu Hayami (1894-1935)

piatto di anonimo

kakemono di Utagawa Hiroshige (1797-1858)

paravento, Hasegawa Totetsu 17° sec.

 

Il museo Nezu di Tokyo possiede due interessanti emakimono attribuiti a Kano Sanraku (1559-1635), intitolati “disegno di 100 camelie”, in cui sono visibili 100 differenti  qualità  di camelie in varie situazioni e intercalate da poesie scritte da 49 differenti poeti, inclusi membri della Famiglia Imperiale, daimyo, alti prelati buddhisti, che confermano la popolarità  della camelia e la presenza di almeno 100 differenti tipi di fiori già  comunemente coltivate all’inizio del periodo Edo.

 

 

 

La camelia è il soggetto anche di vari HAIKU; fra gli autori più conosciuti Basho e Buson

 

 

 

Nell’ikebana, ora che la possibilità  di decapitazione in guerra non esiste più, la camelia è molto apprezzata e  viene usata anche come ramo principale nei nuovi stili apparsi nel periodo Edo (Shōka e Seika).

 

 

 

Per l’ikebanista è interessante confrontare il disegno a sinistra di un ventaglio di Ogata Korin (1652-1716)  con il disegno “botanico” occidentale a destra.

Nel disegno di Korin la gerarchia delle “forze” è ramo-foglie-fiori ossia c’è un ramo forte, ben visibile, con delle foglie e con  dei fiori (raffigurati solo in parte) ottenendo un ottimo equilibrio fra le forze delle varie componenti contrariamente al disegno realistico occidentale in cui predomina la forza dei fiori, seguita da quella foglie mentre il ramo è sottile, debolissimo.

L’ikebanista Ohara, quando tratta la camelia, deve riferirsi al modo usato da Korin e non a quello naturalistico occidentale.

 

Ecco alcuni esempi di come è utilizzata la camelia

 

altnella Scuola Ohara

 

 

e nella Scuola Sogetsu

 

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