Negli articoli precedenti si è evidenziato come le regole che ancora oggi governano la costruzione di un ikebana simboleggino religioni, filosofie e credenze.

La struttura del Rikka simboleggia anche il monte Sumeru (o Meru), mitica montagna sacra per il buddhismo, e ne mostra sette caratteristiche rappresentate dai sette rami principali che nello Shōka e Seika saranno ridotti a tre (shu, fuku e kyaku della scuola Ohara)

Tipico del sincretismo religioso giapponese, alla rappresentazione di questa mitica montagna buddhista viene affiancata la visione taoista con il suo lato yang ( in giapponese ), al sole, e yin ( in in giapponese ), all’ombra, e i disegni sottostanti mostrano la sua idealizzazione e la sua trasposizione nel Rikka, con le sue sette parti simboliche (la cima, il lato yang, il lato yin, la collina, la cascata, i piedi della collina e la città)

 vedi anche Art.67° Simbolismo delle composizioni

Nei tre disegni sottostanti,

il primo mostra solo i 7 rami principali formanti la struttura di base del Rikka

 

il secondo i singoli 7 rami principali con l’aggiunta dei loro rami ausiliari

 

 ed il terzo il Rikka completo

 

La fotografia di un Rikka (foto C) della Scuola Ikenobo e i due disegni preparatori A e B illustrano chiaramente i passaggi dal disegno ideale del Monte Meru alla sua rappresentazione con i vegetali.

La parte alta del Rikka mostra una prospettiva “in lontananza”, quella intermedia “a media distanza” mentre la parte bassa mostra una prospettiva “ravvicinata”, prospettive derivanti dalla pittura cinese.

Da notare come il ramo shu rappresenti la parte in lontananza, i suoi rametti collaterali con le loro fronde rappresentino i picchi delle montagne e il suo tronco principale rappresenti la valle delineata da queste montagne.( vedi anche art. 67°)

Con il passaggio dal Rikka allo Shōka e Seika nei primi decenni dell’epoca Tokugawa, periodo in cui la visione cosmica e mitica dell’esistenza e la percezione sacrale della natura vengono abbandonate e le arti -ikebana compreso- vengono secolarizzate, il simbolo Buddhista del Monte Meru viene abbandonato mentre quello taoista yang/yin viene mantenuto.

E’ interessante notare che la Scuola Ohara ha mantenuto la distinzione fra le tre prospettive del Rikka  nel Moribana Paesaggio:

Paesaggio ravvicinato,               che deriva dalla parte bassa del Rikka                    

Paesaggio in lontananza,           che deriva dalla sua parte alta                                  

Paesaggio a media distanza,     derivante dalla sua parte intermedia

Anche se la rappresentazione del Monte Sumeru è stata abbandonata completamente quando si è passati dal Rikka alle sue semplificazioni di Shoka e Seika, l’influsso del buddhismo sull’ikebana è rimasto evidente ed è collegato al concetto estetico del “bello”, concetto che in Giappone è stato molto influenzato da questa religione:

“bello” è ciò che richiama i concetti buddhisti

dell’impermanenza e dell’insostanzialità.

Un ikebana è “bello” quando queste due caratteristiche sono in esso espresse.

Molto succintamente

IMPERMANENZA (anicca in lingua Pāli)

Per il buddhismo ogni cosa che nasce comincia a consumarsi appena vede la luce e procede fatalmente verso la sua fine quindi vale, come ogni forma, non in quanto permanente ma in quanto scompare, si trasforma, si dilegua.

“Bello” sarà considerato ciò che esalta l’impermanenza, la transitorietà:

paravento: ciliegi in fiore a Yoshinogama

Watanabe Shikō 1683-1755

 

dai fiori di ciliegio che durano pochi giorni,

 
 

 

 

 

 

 

 

paravento di Sakai Hōitsu 1761-1828

alla luna piena che dura una sola notte,

 

porte scorrevoli: “susini e uccelli”

di Kano Sanraku   1559-1635

 

al tronco o ramo “vecchio” coperto di licheni su cui sbocciano delle “giovani” infiorescenze.

Interessante notare che già nel kanji hana, che forma la parola ikebana, è visibile questa transitorietà: esso è composto dal radicale “erba” sopra al kanji cambiamento: si può immaginare che rappresenti un uomo giovane, che significa “erba giovane”, che si trasforma nello stesso segno erba sopra un uomo anziano ossia “erba  vecchia”, perciò il kanji significa “erba che invecchia” ossia “vegetale che si trasforma, che invecchia”

Anche il Tao afferma: “l’unica costante della realtà è il cambiamento”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

disegno di Katsushika Hokusai

 

Il concetto di transitorietà o impermanenza viene assimilato dai bambini giapponesi imparando a creare gli origami, pezzetti quadrati di carta che si trasformano tramite piegature, ad esempio, in animali; la carta si trasforma in animale o oggetto che a sua volta, se si disfa l’origami tirando delicatamente i lembi del foglio, ritorna ad essere solo un pezzo di carta.

Ma sopratutto lo assimilano quando memorizzano il primo sillabario fonetico Hiragana tramite una poesia, chiamata IROHA dal nome delle prime tre sillabe che contiene, tutte presenti un’unica volta le 47 sillabe che lo compongono. La poesia è tratta dal Sutra del Nirvana e la tradizione la attribuisce al monaco Kukai colui che, sempre secondo la tradizione, introdusse la scrittura hiragana in Giappone.

La poesia dice:

“I fiori possono avere colori smaglianti ma sono tutti destinati a sfiorire. Così in questo mondo, chi durerà in eterno? Oggi, attraversate le montagne dell’illusione umana, mi libererò dei sogni fuggevoli, né sarò più inebriato ” (sottinteso : dai piaceri del mondo).

negli anni recenti i metodi di insegnamento sono cambiati e la poesia non viene più insegnata

 

Nell’ikebana, transitorio per eccellenza rispetto alle altre Arti Tradizionali Giapponesi poiché la composizione dopo pochi giorni finisce nella spazzatura, l’impermanenza viene mostrata utilizzando, ad esempio,:

* i fiori a vari stadi di apertura

in questo shoka è evidente la transitorietà, mostrata da un fiore chiuso, uno aperto e uno molto aperto

* se si usano rami fioriti o con bacche e foglie, la transitorietà viene evidenziata lasciando quantità differente degli elementi elencati sui singoli rami: uno con più fiori/bacche rispetto alle foglie e nell’altro più foglie rispetto ai fiori/bacche.

* gli ausiliari del gruppo shu-fuku saranno rami “giovani” rispetto ai rami “vecchi” di cui sono ausiliari

* si usano rami coperti da licheni (vecchi) con rametti collaterali fioriti o con foglie che stanno spuntando (giovani).

INSOSTANZIALITÀ (anattā in lingua Pāli)

Per il buddhismo ciascun sé, sia inteso come semplice elemento fisico o come singolo individuo vivente, non è né costituito né pensato come unità separata, come un ente autonomo e indipendente. Ogni ente è sempre e necessariamente costituito da relazioni, sia a livello biologico che a livello etico.

L’ikebana evidenzia le relazioni fra misure dei vegetali e misure del contenitore, misure dei vegetali sempre in relazioni tra di loro, relazioni fra masse – volumi – colori – linee, fra composizione e suo ambiente circostante.

Schema della scuola Ohara indicante la relazione sia fra le misure dei tre elementi principali e il contenitore, sia fra i tre elementi

Anche la denominazione hon-gatte o “di destra” e gyaku-gatte o “di sinistra”, che definisce la posizione relativa dei tre elementi principali (shu, fuku e kyaku della Scuola Ohara) sottintende la relazione con qualcosa rispetto alla quale l’ikebana si situa alla sua destra o sinistra vedi articolo n°5