Come spiegato nell’art. 33, l’ikebana è nato con il tokonoma nell’ambito del kazari, l’arte di disporre gli oggetti, specialità dei doboshu della setta Ji col nome terminante in -ami alle dipendenze degli shogun Ashikaga; la sua codificazione, elaborata nei molteplici manoscritti giunti fino a noi, fu iniziata dapprima dai doboshu con i tatebana  per poi essere proseguita ed ampliata nei rikka dagli Ikenobo, dopo la caduta degli Ashikaga e conseguente sparizione dei doboshu.

 

 

Mentre la definizione delle varie regole è opera di autori almeno in parte conosciuti tramite i manoscritti da loro compilati, l’idea iniziale generica dell’ikebana è opera di diversi personaggi, principalmente i monaci al servizio sia degli shogun che degli shugo (amministratori nominati dagli shogun per gestire una o più province) ma anche di alcuni shugo.

 

Una caratteristica di questo periodo storico è il gekokujō ( = trionfo koku degli inferiori ge sui superiori ) ossia uomini di strati sociali bassi che conquistavano con la forza posizioni occupate in precedenza solo dalla nobiltà imperiale, arricchendosi in modo molto rapido.

 

Nel periodo dei primi tre shogun Ashikaga la moda del tempo era dettata dagli shugo/daimyo basara, ricchi condottieri samurai che non si conformavano agli usi e costumi di quel periodo ma ricercavano, sia nel vestire che nella vita, uno stile raffinato definito dai loro contemporanei basara ossia ostentato, stravagante, appariscente, con predilezione sia per il gusto che la ricerca e l’uso delle cose cinesi nelle arti e nella vita; erano amanti del lusso sfrenato e del mettersi in mostra con vestiti vistosi e sgargianti- spesso di influenza cinese- , accumulavano oggetti preziosi da esporre e assumevano atteggiamenti arroganti, sfrontati e sprezzanti verso tutti inclusa la Corte imperiale e gli imperatori. 

 

 

Benché questi shugo avessero dei comportamenti “sopra le righe” non accettati formalmente dallo shogunato, che in vari editti come il codice Kenmu emanato dal primo shogun Ashikaga Takauji proibiva in modo specifico gli atteggiamenti basara, essi non venivano sanzionati poiché erano comandanti militari a capo di molti uomini ed alleati indispensabili nelle battaglie che lo shogunato stava conducendo.

 

Anche gli stessi shogun di quel lasso di tempo erano influenzati dall’estetica basara, ad esempio il terzo shogun Yosimitsu Ashikaga (1358–1408) invitava gli ospiti a bere il tè facendoli accomodare su sedie cinesi preferibilmente rosse ricoperte da pelli di tigre o leopardo che venivano importate a caro prezzo dalla Cina, In tali occasioni esponeva i karamono ossia preziosi oggetti cinesi come vasi, tazzine, coppe da sake, contenitori e kakemono cinesi; il ritratto a lato lo mostra vestito con preziosi broccati.

Kara è la lettura KUN del kanji che letto ON significa Tang=dinastia cinese; mono=oggetto; karamono=oggetto dei Tang= oggetto cinese

Il suo amore per gli oggetti cinesi (karamono) associato ai lauti guadagni derivanti dal commercio con la Cina, lo portarono ad accettare il titolo di “re del Giappone” offertogli dalla dinastia cinese Ming che probabilmente ignorava l’esistenza di un imperatore giapponese.

 

 

Particolare di un paravento di Kano Naizen (1570 – 1616) in cui si vede un punto di vendita di spade riservato ai samurai con accanto la vendita di pelli di tigre e leopardo.

 

 L’uso delle pelli di tigre e leopardo è anche riportato nel Sennokuden, datato 1542 e più antico testo della scuola Ikenobo pervenutoci, scritto dal 28-esimo iemoto secondo la tradizione, oggi ritenuta non veritiera,  Senno in cui spiega come arredare lo spazio in cui si colloca il rikka; fra gli altri suggerimenti scrive:

” stendere un tappeto cinese o una pelle di leopardo o tigre nella veranda”…………..

 

Per quasi tutto il 1300 la moda basara fu seguita anche da una parte della popolazione nelle grandi città sia nelle canzoni che nelle acconciature dei capelli e nei vestiti, moda visibile nelle immagini dei paraventi e disegni di quel periodo arrivati fino a noi, e fu pure introdotta nella pittura usando colori primari/fondamentali al posto degli abituali colori tenui.

Per avere un’idea della magnificenza degli abiti usati dagli shugo/daimyo basara basta osservare le appariscenti vesti usate ancora oggi nel teatro , forma di teatro nata in quel periodo  (Zeami, ritenuto il suo codificatore, viveva alla Corte shogunale protetto da Yoshimitsu)

 

 

 

oppure questi abiti dello stilista giapponese Yohji Yamamoto che nel 1997 ha rilanciato la moda basara: il contrasto fra i suoi abiti in rapporto all’attuale moda giapponese riproduce bene il contrasto fra le vesti basara e quelle “normali” del tempo

 

 

 

 

 

 

Sia la storia che i vari racconti cavallereschi leggendari ricordano come esempio di atteggiamento basara vari shugo/daimyo come:

 

 

 

 

 

 

 

 

 

a lato un disegno tratto dall`emakimono Taiheiki, periodo Edo, che mostra Yōrito a cavallo mentre scocca le frecce  e al suo lato un amico che corre in atteggiamento disperato per tentare di fermarlo. 

 

Toki Yōrito, shugo della provincia di Mino,  è descritto  come esempio di atteggiamento basara, fra l’altro per il comportamento sprezzante verso gli imperatori: a Kyoto, al passaggio del carro dell’imperatore in ritiro Kōgon, Yōrito ubriaco, invece di cedergli il passaggio scoccò delle frecce contro il suo carro; per questo suo atto, fu poi arrestato e decapitato

 

 

 

Oppure il violento

Ko no Moronao ( ?- 1351), qui a fianco interpretato dall’attore kabuki Mitsugoro III° , divenuto personaggio di opere teatrali sia del kabuki che del bunraku (marionette)

 

 

 

Il più citato, grazie alle maggiori informazioni storiche arrivate fino a noi, è Sasaki Dōyō Takauji (1296-1373), monaco, poeta e shugo della provincia di Omi,  segnalato come archetipo basara:

più importante fra i poeti-guerrieri per le sue poesie renga ottantuno delle quali contenute nella Tsukubashū, 1356, prima antologia imperiale di renga, di gusti molto raffinati, esperto in quelle arti che diventeranno “tipiche giapponesi” ( tatebana, poesie waka e renga, cerimonia del tè, nascente teatro Nō  ) non riconosceva nessuna autorità al di fuori della forza bruta, dava feste per centinaia di invitati ( uomini illustri, prelati, poeti, danzatori e cortigiane) come la festa hana no moto  (sotto i fiori) che durava ventun giorni con gare di poesie renga, canti e danze (dengaku e saragaku) eseguiti da attori professionisti, con i ponti che portavano all’evento coperti con fogli d’oro e tappeti preziosi disposti sotto  ciliegi in fiore; enormi vasi in ottone contenevano fiori profumati e innumerevoli incensieri profumavano il luogo: l’intento era di riprodurre il Paradiso buddhista della Terra Pura. Sedie cinesi e cibi esotici erano a disposizione in abbondanza e  a tutti gli ospiti di qualsiasi stato sociale venivano dati lussuosi regali come essenze profumate e muschi, tessuti preziosi “ammucchiati come montagne”, pepite d’oro, sciabole in foderi ricoperti con foglie d’oro o di pelle di squalo.

Non riportato nei testi di ikebana ma solo in quelli storici, Sasaki Dōyō era esperto anche di Tatebana: a quei tempi non esistevano ancora regole e ha lasciato un manoscritto, datato 1368  dal titolo Tatebana Kuden Daiji, sull’etichetta di come disporre i vegetali 

 

 

I Tatebana sono nati “disordinatamente” nella casta dei samurai quando l’estetica basara godeva di grande favore  per poi essere codificati al tempo dell’ottavo shogun quando questa, passata di moda, venne sostituita da un’estetica improntata maggiormente sullo zen.

 

 

 Il concetto basara è stato ripreso e riadattato ai giorni nostri e lo troviamo ad esempio nel Sengoku Basara,  un anime  tratto dal videogioco Devil King

 

 

 

bibliografia

 

Edited by Jeffry P. Mass                                     The Origin of Japan’s Medieval World

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