10 etica dell’ikebanista/Ka-dō

attenzione: fra i molteplici kanji omofoni pronunciati KA uno è:

dunque   Ka-dō, scritto in rōmaji e fuori contesto,  può significare   -la via dei “fiori”-  oppure    -la via della poesia-

 

 

 

Quando l’ikebanista ha imparato le regole basilari dell’ikebana e non è più preoccupato di “sbagliare” mentre compone, facendo una scelta cosciente può utilizzare quest’arte quale “via di liberazione” e vedere quello che fa – il comporre un ikebana – sotto il punto di vista del Ka-dō il cui scopo ideale è il raggiungimento di un particolare stato d’animo, del dominio del proprio corpo, di una disciplina del comportamento, tutte caratteristiche che, esercitate e sviluppate praticando l’ikebana come Ka-dō, entreranno nel proprio quotidiano e saranno messe in pratica anche nelle altre situazioni della propria vita.

Nella vita di tutti i giorni indossiamo varie maschere e corazze.

Nell’imparare a creare un ikebana varie sfaccettature del nostro carattere emergono mentre si esegue la composizione: timidezza, aggressività, ansia di non riuscire, paura di sbagliare, convinzioni di avere “buon gusto”, difficoltà nell’accettare le correzioni dell’insegnante, paragone con le composizioni create dagli altri allievi, ansia di finire, disordine attorno alla composizione, ecc.

Il rendersi conto di questi lati del nostro carattere è il primo passo verso il cambiamento, l’illuminazione (satori) buddhista.

 

Per un ikebanista con mentalità occidentale, il praticare l’ikebana nello spirito del Ka-dō è un tentativo di raggiungere una calma interiore ed imparare a concentrarsi oppure migliorare la propria etica personale, così che anche senza raggiungere “l’illuminazione” si può migliorare la propria qualità di vita .

 

L’ideale atteggiamento mentale e corporeo dell’ikebanista che segue il Ka-dō è il seguente:

– Calma, bellezza, precisione del gesto:

mettersi in stato di pacificazione interiore, calmare le turbolenze concentrandosi su ciò che si sta facendo, rimanere concentrati e considerare il tempo e il luogo in cui si esegue una composizione, a scuola come a casa, non per “produrre in modo competitivo un bel ikebana” ma per dedicare del piacevole tempo a sé stessi entrando in contatto con i vegetali che usiamo, oggetto non di possesso, da sfruttare, o di messa in evidenza della nostra “bravura nel comporre”, ma in quanto vegetali vivi che meritano tutto il nostro rispetto.

 

– Considerare l’insieme dei vegetali che devono essere in armonia; ad esempio non lasciarsi attirare da un singolo ramo che noi riteniamo “bello” e adattare con difficoltà tecnica il resto della composizione a quel ramo ma saper sacrificare l’esclusività di un ramo sostituendolo con un altro in favore della riuscita dell’intera composizione. Chi segue la Via vive in armonia col resto del mondo e non pretende di essere il centro a cui tutto e tutti devono adattarsi.

 

– Una delle prime tappe da percorrere lungo il Ka-dō è liberarsi dai condizionamenti come “questo mi piace” o “quello non mi piace”, udito occasionalmente fra chi segue le prime lezioni d”ikebana, sia riferito ai vegetali usati sia riferito alle composizioni degli altri allievi.

 

-Concentrarsi su ciò che si sta facendo, tralasciando di pensare ai problemi quotidiani passati o futuri: importante è il  -qui e ora-, importante è quello che faccio qui, in questo luogo e non quello che ho fatto o che farò in altri luoghi, a casa, sul posto di lavoro, dal dentista, in cucina, in automobile ed ora, in questo momento e non quello che ho fatto la volta scorsa – ad esempio una composizione che non mi ha soddisfatto e la scontentezza, legata alle sue difficoltà tecniche, che mi trascino addosso – o che farò la prossima volta – una composizione stupenda che tutti ammireranno. Il mantenere la mente al -qui e ora- è una delle tappe della Via.

 

– Chi non segue la Via è concentrato solo sulla composizione e dimentica di trattare i vegetali, gli oggetti e le persone come lui vorrebbe essere trattato.

 

i vegetali

Di solito diamo molta considerazione ai vegetali, o parte di essi, che entrano nella composizione rispetto a quelli che scartiamo, considerati ingombranti, fastidiosi, da sbarazzarsene il più presto possibile; ai nostri occhi quelli usati nella composizione saranno ragione dei complimenti che riceveremo mentre quelli scartati non servono a mettere in luce la nostra bravura di ikebanisti.

 

Chi sta seguendo la Via considera sia quelli che entrano nella composizione che quelli che non vi entrano allo stesso modo e dà la stessa attenzione e cura nel non lasciarli cadere a caso, nel non calpestarli, nel raggrupparli se sono caduti per terra usando scopa e paletta.

 

Anche i vegetali della composizione finiranno per essere gettati, ma quelli sono serviti a rafforzare il nostro Ego mentre quelli scartati non sono stati utilizzati per questo scopo e dunque sono ingiustamente ritenuti “inutili” e trattati di conseguenza.

 

gli oggetti

Quelli che usiamo meritano lo stesso trattamento dei vegetali perciò chi segue la Via sarà cauto nell’uso dei vari oggetti facendo attenzione a non far rumore mettendo le forbici sul tavolo – in Giappone si usa una pezzuola per posarvi le forbici in modo da attutirne il rumore -; il tavolo deve rimanere pulito attorno alla composizione come pure il pavimento; se il loro uso è necessario, scopa e paletta devono essere usati coscientemente.

 

le persone

Alcuni ikebanisti principianti hanno la tendenza a valutare in modo critico le composizioni dei vicini oppure, quando l’insegnante corregge la composizione, elencano le loro buone ragioni per cui quel vegetale, che l’insegnante ha corretto, era stato messo in quel modo. Lo spiegare le buone intenzioni da parte dell’allievo non modifica le ragioni della correzione.

 

Gusty Herrigel nel suo libro – Lo Zen e l’arte di disporre i fiori – nella sua seconda lezione, dopo che il Maestro ha tolto i vegetali dal vaso e rifatto la sua composizione, scrive:

“Perché, mi chiedevo, il Maestro non può tener conto della psicologia dell’europeo che non ammette a priori di essere incapace di riuscire?”

 

Chi segue la Via è più clemente con gli altri allievi, si astiene dalle esternazioni e non percepisce la correzione come una “critica personale“ ma come un aiuto offerto per migliorare la propria tecnica e comprensione dell’ikebana: ascolta in silenzio la correzione e la spiegazione dell’insegnante e ne farà buon uso in futuro.

 

Gli insegnamenti dello Zen, e di conseguenza quelli del Ka-dō, sono trasmessi tramite la dimostrazione e pochissimo tramite le parole.

 

Ricordare il “sermone silenzioso del fiore”, ritenuto l’inizio della corrente Zen, che fece Buddha sul Picco dell’Avvoltoio: alla domanda dei seguaci di tenere un sermone, Buddha rispose con un atto silenzioso, mostrando solo un fiore.

In Giappone la correzione veniva eseguita senza che il Maestro desse delle spiegazioni: era sufficiente eseguirla senza che né Maestro né allievo avessero bisogno di parlare.

Pazienza, umiltà, serenità, rispetto, armonia sono caratteristiche di chi segue la Via.

 

– Benché sia difficile fare silenzio durante le lezioni, chi segue la Via tenta di farlo; il silenzio permette la propria concentrazione e quella delle persone che ci attorniano. Col silenzio si mostra rispetto per sé stessi, per l’insegnante e per le altre persone presenti e aiuta a sottolineare la “sacralità” di ciò che si sta facendo.

– Chi segue la Via è cosciente di come usa il proprio corpo: economizza i gesti tralasciando il superfluo. Il gesto nella scelta dei vegetali, nel misurare la lunghezza e inclinazione appropriata, nel manipolarli, nel prendere e posare le forbici senza rumore, nel togliere il superfluo, nell’inserirli nel contenitore dev’essere preciso ed è paragonabile ai kata eseguiti nelle Arti Marziali: esercitarsi coscientemente a ripetere continuamente i movimenti specifici li rende spontanei ed eseguibili automaticamente.

Questi gesti, con le ideali caratteristiche descritte, sono il risultato di una lunga osservazione attenta del vegetale, di un istinto educato all’armonia ma sopratutto della forza interiore liberata dall’Ego.

Se siamo concentrati su ciò che facciamo non dovrebbe cadere niente per terra; se ciò succede, per l’ikebanista che segue la Via, il fare pulizia ha la stessa importanza dell’atto creativo del comporre l’ikebana.

 

– lo “smontare” la composizione finita è un’azione equivalente alla distruzione di un Mandala che rammenta all’ikebanista l’impermanenza e la transitorietà delle cose e delle persone: è importante imparare a “lasciare andare” senza rimpianti ciò che in ogni modo non può essere trattenuto.

 

Da evidenziare che questa disciplina formativa del proprio carattere, questa via di realizzazione personale e di liberazione basata sulla pratica dello zen, non ha niente a che fare con la religione come intesa da un cristiano; il Ka-dō può essere seguito indipendentemente dalla religione professata dall’ikebanista poiché i valori da esso promulgati – concentrazione, economia dei gesti, silenzio, armonia, rispetto, serenità, pazienza, umiltà, considerazione dell’altro – benché condivisi dalle religioni, non sono religiosi per sé stessi.

 

molto interessanti i libri di Aldo Tollini

– L’IDEALE DELLA VIA, Samurai, monaci e poeti nel Giappone medioevale

– LA CULTURA DEL TÈ IN GIAPPONE E LA RICERCA DELLA PERFEZIONE

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